a. La situazione del tronco
alto alla fine della guerra
Alla fine del secondo conflitto
mondiale, la rete ferroviaria in concessione1 appariva
in condizioni desolanti non soltanto per le distruzioni
determinate dalla guerra ma anche per il fatto che la maggior
parte delle linee risultavano tecnicamente superate e non erano in
grado di assolvere adeguatamente alla loro funzione, registrando,
al contempo, rilevanti passività di esercizio2. A
fronte di tale situazione, lo Stato intervenne immediatamente con
sussidi integrativi di esercizio (anche
per compensare il costo popolare dei biglietti),
attuando un’applicazione generale del regio decreto-legge 29
luglio 1938, n. 1121, sussidi poi confermati da provvedimenti
successivi, quali la legge 1 dicembre 1948 n. 1449.
La Ferrovia Alifana3
costituiva un esempio paradigmatico delle condizioni delle
ferrovie italiane nel dopoguerra. In particolare, nel tratto tra
S. Angelo in Formis e Piedimonte d’Alife (35 km), la ferrovia
aveva subito, nel 1943, la totale distruzione di 19 opere d’arte,
tra cui il viadotto per l’attraversamento del fiume Volturno, la
parziale distruzione di altre 4 opere d’arte, la totale
distruzione di 14 chilometri di armamento e la parziale
distruzione di altri 3 chilometri, la totale distruzione di 4
fabbricati viaggiatori e di 4 magazzini merci, la totale
distruzione della linea telefonica. A tutto ciò si aggiunse
l’asportazione dei materiali e la dispersione del materiale
d’armamento e delle traverse, poiché molti tratti della sede
ferroviaria erano stati adibiti a strada ordinaria per il
passaggio di automezzi.
Ma l’Alifana, nel suo tronco
alto, non era solo una ferrovia distrutta, era anche una ferrovia
antiquata.
Aveva, innanzitutto, una
trazione a vapore che comportava, oltre alla bassa velocità di
marcia dei mezzi, un servizio oneroso e deficitario; era quindi
necessario sostituire la trazione a vapore con la trazione
elettrica, più moderna e già impiegata nel tronco basso, con
relativa spesa di costruzione delle strutture di
elettrificazione.
In secondo luogo, era
necessario modificarne il tracciato, per eliminare pendenze e
contropendenze (che arrivavano fino al 40 per mille), curve
e controcurve (con raggio minimo di 80 metri), nonché
sostituire l’armamento da 22 kg a metro lineare con quello da 36
kg/m.
In terzo luogo, era
opportuno sostituire lo scartamento ridotto con quello ordinario;
soluzione certamente preferibile, ma che avrebbe portato a rifare
ex novo anche l’altro tronco, Napoli – Santa Maria Capua
Vetere, sia in relazione agli impianti fissi che al materiale
mobile, con una spesa aggiuntiva dell’ordine di diverse
centinaia di milioni di lire; salvo prevedere
l’allaccio del tronco da ricostruire con le linee delle Ferrovie
dello Stato (Roma - Napoli, via Cassino), ma ciò avrebbe
comportato la definitiva separazione dei due tronchi e la rottura
della continuità della ferrovia.
In quarto luogo, si era
rilevato che il tronco in oggetto avesse una limitata utilità,
essendosi calcolato che la corrente di traffico servita fosse pari
solo al 14% del totale della ferrovia stessa.
Infine, era emerso
pacificamente che la gestione della Ferrovia, nel decennio
anteriore al 1940, aveva prodotto forti passività di bilancio4.
b. Il dibattito
politico sulle sorti del tronco alto
Alla luce di tutte
queste problematiche, la Commissione di studio per il piano
regolatore delle ferrovie, istituita presso il Consiglio superore
dei lavori pubblici, aveva stabilito, nel 1948, che il tronco alto
dell’Alifana non dovesse essere ricostruito, per ragioni di
utilità ed economia, e sostituito definitivamente dal servizio
automobilistico.
Per il Governo si pose
quindi il dilemma che ostacolerà in futuro la rapida ricostruzione
della ferrovia: provvedere al ripristino del tronco in oggetto,
affrontando una spesa ingente (con l’incertezza del ritorno
economico), oppure sostituire definitivamente il servizio
ferroviario con un adeguato servizio automobilistico5.
I tentennamenti dei
governi dell’epoca erano evidenti: da una parte, si prometteva e
si garantiva la ricostruzione della ferrovia, con stanziamento dei
fondi, ma, dall’altra, si procrastinava l’inizio della procedura,
con diverse motivazioni, causando la distrazione dei finanziamenti
previsti.
In effetti, sarebbe opportuno
esaminare brevemente le ragioni per le quali la vicenda della
ricostruzione del tronco alto, compiutasi nel 1963, a vent’anni
dalla distruzione, fu così tormentata.
Innanzitutto, nel
dopoguerra si acuì enormemente la competizione tra trasporto su
rotaie e trasporto su strada; la ferrovia aveva rappresentato il
primo grande mezzo di trasporto di massa, con previsione di
agevolazioni tariffarie per le classi meno abbienti (operai,
impiegati, studenti: i c.d. pendolari), ma ora sembrava
soccombere di fronte alla notevole espansione di un sistema di
trasporto, più agile, duttile e dai costi molto più contenuti. I
piani strategici dei trasporti dei governi tendevano a favorire il
servizio automobilistico, meno gravoso per il bilancio del Paese e
con grandi prospettive di sviluppo, anche se non mancò l’impegno
per rivitalizzare il sistema ferroviario, in particolare, quello
statale.
Altra ragione si può
riscontrare nel programma strategico di alcune forze politiche
tendente a non favorire eccessivamente le concessioni di servizi
pubblici conferite ai privati, facendo affluire a loro favore
elargizioni, sovvenzioni e contributi statali di notevole entità,
ritenendosi, invece, che la gestione delle concessioni di
trasporti da parte dell’ente pubblico fosse maggiormente
produttiva, economica e vantaggiosa per i cittadini fruitori,
anche a livello tariffario6.
Poi, un problema - che
investiva in particolare l’Alifana e la cui risoluzione era stata
posta dal Governo come questione pregiudiziale per la
ricostruzione - era quello attinente alla titolarità e
all’esercizio della concessione. La titolarità, infatti, spettava
ancora alla società (anonima) francese Compagnie des Chemins
de Fer du Midi de l’Italie7, ma l’esercizio
della concessione era stato “provvisoriamente” affidato,
nell’aprile 1923, ad una Gestione commissariale governativa. Da
allora ne era nato un contenzioso8, ancora in atto nel
dopoguerra: la Compagnie pretendeva, in diritto, la
restituzione dell’esercizio della ferrovia e, a prova della
serietà della sua azione, aveva presentato, entro il 1948, diversi
progetti di ricostruzione ex novo del tronco da
realizzarsi, comunque, interamente a spese dello Stato, e,
nell’agosto del 1950, depositò uno schema di convenzione tra Stato
e concessionaria, unitamente al progetto esecutivo dei lavori di
ricostruzione.
Altro motivo del rallentamento
del processo di ricostruzione è da ravvisarsi in quello che il
ministro Jervolino, in un discorso alla Camera dei Deputati del 26
ottobre 1951, sospettò trattarsi dell’azione di forze estranee
al Ministero dei trasporti, volte a paralizzare e fermare la
ricostruzione della Ferrovia Alifana. Tali forze estranee
possono essere individuate sia in coloro che, per le ragioni
sopra illustrate, ritenevano la Ferrovia come un c.d. ramo
secco, nel quale ogni investimento sarebbe stato inutile e
controproducente; sia in coloro che, per ragioni di ordine
campanilistico, cercavano di far confluire, nella misura più
elevata possibile, la parte dei fondi stanziati dallo Stato, con
vari provvedimenti, verso le infrastrutture presenti nei loro
collegi elettorali di provenienza.
Si possono poi
aggiungere ragioni di ordine burocratico, per la complessità delle
procedure di ripristino e di ricostruzione della linea
ferroviaria, ma tale ragioni, anche agli esponenti politici
dell’epoca favorevoli alla rinascita dell’Alifana, sembrarono le
meno rilevanti.
Infine, non si può trascurare
che la durata breve dei vari governi che si succedevano non
garantiva un’azione continua ed unitaria delle scelte politiche,
amministrative ed economiche.
Comunque, il Governo,
considerato il notevole sviluppo economico della zona fra
Piedimonte d’Alife e S. Maria Capua Vetere, più volte manifestò,
fra il 1947 e il 1950, l’intenzione di riattivare il tronco alto,
purché esso, per ragioni di imprescindibile rispetto dei criteri
di economicità del servizio, fosse ricostruito a scartamento
ordinario, a trazione elettrica (a corrente continua a 3000 volt)
e con allaccio, a S. Maria Capua Vetere, alla linea Roma - Napoli
(via Cassino) delle Ferrovie di Stato. Nell’atteggiamento
favorevole del Governo contribuì anche l’insistenza delle
popolazioni locali che inscenarono numerose manifestazioni a
favore della riattivazione dell’antica ferrovia e diedero vita a
decise forme di protesta contro gli indugi governativi con
comitati di agitazione continua.
c. I provvedimenti legislativi
a favore delle ferrovie in concessione
Il 14 giugno 1949, il
Parlamento emanò una prima legge di ampio respiro, la n.
410, finalizzata alla riattivazione dei pubblici servizi di
trasporto in concessione: si prevedeva il concorso dello Stato,
sino all'importo totale della spesa prevista9, alla
riparazione e alla ricostruzione delle ferrovie pubbliche in
regime di concessione, distrutte o danneggiate per eventi bellici.
Si prevedeva, inoltre, in via definitiva, l’erogazione annuale di
sussidi integrativi di esercizio per il ripianamento delle
perdite.
Dei finanziamenti di
questa legge sembrò poter subito avvalersi anche la Ferrovia
Alifana, la cui ricostruzione
delle linea ferroviaria del tronco alto fu assunta –
davanti alle Camere - come impegno solenne dal Governo, il quale
non solo promise lo stanziamento di fondi nell’esercizio
finanziario 1949-50, ma si
attivò poi pure a calcolare la somma necessaria alla ricostruzione
della ferrovia in oggetto (determinata in circa tre miliardi di
lire), nell’ambito delle somme stanziate (16 miliardi di lire)
dalla legge 17 gennaio 1951 n. 15 per la ricostruzione delle
ferrovie in concessione distrutte.
Tuttavia, ancora una
volta, l’azione del Governo non corrispose ai suoi buoni
propositi. Conseguentemente,
di fronte all’inerzia governativa, il 28 ottobre 1951, per
iniziativa di alcuni deputati delle circoscrizioni interessate dal
servizio ferroviario, venne approvato un ordine del giorno con il
quale si impose al Governo di dare immediato sollecito alle
pratiche ancora necessarie per l’inizio dei lavori di
ricostruzione del tronco S. Maria Capua Vetere – Piedimonte
d’Alife, il cui finanziamento era assicurato dalla legge n. 15 del
1951, adempiendo ad impegni ripetutamente assunti anche in sede
parlamentare, assecondando le ben giustificate aspirazioni di
laboriose popolazioni, duramente provate dalla guerra e dalla
disoccupazione favorendo lo sviluppo civile ed economico di vaste
zone di Terra di Lavoro.
All’approvazione dell’ordine
del giorno seguì, cinque mesi dopo, nel marzo 1952, il parere
favorevole della competente commissione interministeriale per la
riattivazione dei pubblici servizi all’assegnazione di 2,9
miliardi di lire a favore della sospirata ricostruzione.
Ancora qualche mese dopo, il
2 agosto 1952, venne emanata la normativa perno della
riorganizzazione del settore ferroviario in regime di concessione,
la legge n. 1221 (successivamente integrata dalla legge n.
237/1958). Con tale legge si decise il finanziamento del
potenziamento tecnico ed economico di molti tratti ferroviari in
concessione; in particolare, si prevedeva che, ai fini
dell’intervento statale, il Ministero dei trasporti, dopo parere
di apposita commissione interministeriale, potesse individuare
tre tipologie di linee: a) le linee esercitate con mezzi
sufficientemente moderni, risanabili con il solo adeguamento della
sovvenzione di esercizio; b) le linee risanabili mediante
ammodernamento, trasformazione o sostituzione degli impianti e del
materiale rotabile; c) le linee sostituibili con servizi stradali
paralleli10, alle stesse condizioni tariffarie,
facendo salva la permanenza dei diritti acquisiti del personale.
Furono inoltre previsti
contributi per l’ammodernamento delle ferrovie e una sovvenzione
(chilometrica) di esercizio per fronteggiare le perdite delle
imprese concessionarie11.
Ma neanche in tal caso la
ferrovia Alifana beneficiò di risorse per la sua ricostruzione
(tronco alto) o per il suo ammodernamento (tronco basso), poiché
l’intera ferrovia non venne classificata in alcuna categoria.
Cosicché, dopo la fondazione di un comitato di zona da parte dei
ferrovieri della linea, la pressione delle popolazioni interessate
e dei parlamentari loro rappresentanti, fu votato un altro ordine
del giorno, alla Camera, il 27 ottobre 1953, con il quale si
impegnava il Governo a dare immediatamente inizio all’opera di
ricostruzione della Napoli – Piedimonte d’Alife, nel tratto a
vapore Capua - Piedimonte, senza attendere la sistemazione dei
rapporti tra Stato e società concessionaria (come detto, la
sistemazione dei rapporti con la concessionaria francese era
una condizione alla quale il Governo subordinava l’inizio della
ricostruzione).
d. Il rilascio della nuova
concessione e l’opera di ricostruzione
Questa volta, anche se dopo
circa un anno, il Governo finalmente avviò l’iter della
ricostruzione, avvalendosi dei fondi stanziati in base alla legge
n. 410 del 1949: innanzitutto, in data 7 ottobre 1954
stipulò un contratto con la Compagnie des Chemins de Fer
du Midi de l’Italie, con il quale rilasciava la nuova12
concessione della ferrovia e la società si obbligava a
riassumere l’esercizio della ferrovia e di completare entro due
anni la ricostruzione del tronco S. Maria Capua Vetere –
Piedimonte d’Alife, a scartamento ordinario, a trazione elettrica
e con innesto, a S. Maria Capua Vetere, alle Ferrovie dello Stato,
così come da sempre pianificato ai fini della convenienza del
servizio.
La separazione dal
tronco basso, sia giuridica che amministrativa, era ormai
definitiva e irreversibile, lasciando la tratta Napoli - S. Maria
Capua Vetere (e Capua) al suo destino.
La concessione fu
rinnovata per 35 anni a decorrere dal decreto di approvazione,
nonostante non fosse ancora scaduto il termine della precedente
concessione, fissato per il 1964.
Il contratto fu quindi
approvato con decreto presidenziale 22 dicembre 1954, n. 1459,
con una dichiarazione implicita di pubblica utilità
dell’opera, necessaria ai fini dell’esproprio dei terreni sui
quali insistevano le strutture delle modifiche di tracciato; vi
era contenuto anche l’obbligo di ammodernare e potenziare il primo
tronco, relativo al tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, il cui
progetto esecutivo doveva ancora essere presentato dalla Società
concessionaria.
Il progetto di
ricostruzione prevedeva modifiche e miglioramenti del tracciato
per eliminare i tratti con eccessiva pendenza (superiori al 25 per
mille) e per portare il raggio minimo delle curve a 300 metri,
costruendosi, a tal fine, nuovi ponti, viadotti e diversi tunnel;
alcune stazioni furono ricostruite spostate in posizione più
favorevole rispetto al centro abitato. Si decise di non adottare
la trazione elettrica, ma quella diesel, nell’ambito del progetto
di dieselizzazione che riguardò le ferrovie del Meridione.
La prima pietra per la
ricostruzione fu posta il 4 gennaio 1955, ma dopo tre mesi ancora
non era stata posta la seconda pietra, sollevando le
immediate proteste dei parlamentari promotori; l’indugio iniziale
fu essenzialmente dovuto all’attuazione degli espropri necessari
per le modifiche di tracciato. Comunque, nei primi mesi del 1958 i
lavori erano già stati eseguiti per oltre l’80% del totale, ma
furono sospesi poiché la somma stanziata si rilevò insufficiente
per la maggiorazione dei costi, per ulteriori opere di
consolidamento, nonché per l’adozione di rilevanti varianti
suggerite dall’A.N.A.S. Fu pertanto necessaria l’emanazione della
legge 24 luglio 1959 n. 622 che stanziò (art. 40)
per la ferrovia, nell’esercizio finanziario 1959-60, ulteriori 990
milioni di lire per il completamento della ricostruzione, per un
costo complessivo dell’opera (impianti fissi) di quattro miliardi
di lire.
All’inizio del 1962, i lavori
di costruzione della sede e delle opere d’arte erano ultimati,
tranne un breve tratto in prossimità della stazione di Alife, e il
materiale rotabile era costruito per oltre il 50%; il progetto
degli impianti di segnalazione e di sicurezza fu realizzato nella
seconda metà dello stesso anno. L’esercizio ferroviario fu quindi
riattivato dal 5 aprile 1963, il giorno successivo
all’inaugurazione.
e. La concessione
della sovvenzione per l’esercizio del tronco alto
Intanto, nel gennaio del
1961, la società concessionaria aveva presentato il programma di
esercizio e il piano finanziario della linea, con la previsione di
sette coppie di corse giornaliere fra Napoli e Piedimonte
(ipotizzando il riassorbimento di circa il 70% del traffico svolto
fino ad allora con il servizio automobilistico sostitutivo),
chiedendo anche che fosse fissata in via definitiva la sovvenzione
annuale ex art. 2 legge n. 1221/52 dalla competente commissione
interministeriale, da erogarsi fino alla scadenza della
concessione (prevista per il dicembre 1989).
La commissione
interministeriale, valutato il piano finanziario della
concessionaria, sulla base delle previsioni degli anni 1961 –
1962, in considerazione di un passivo annuo ricalcolato in lire
162 milioni, ritenne di accordare, con parere del 20 novembre
1962, una sovvenzione annua di circa 4 milioni di lire al
chilometro13 (il tronco della ferrovia era lungo
41+084,52 km fino all’allaccio alle ferrovie di Stato). Poiché la
sovvenzione, così determinata, era superiore al massimo previsto
dalla legge (vedi nota 11) si rese necessario il ricorso ad un
disegno di legge ad hoc.
La discussione in
Commissione Trasporti della Camera sul disegno di legge presentato
dal Governo, già approvato in Senato, fu molto animata. I dati
aggiornati sulla gestione dell’esercizio ferroviario (1963 –
1964), fra l’altro, prefiguravano un passivo sempre più elevato,
per l’aumento progressivo dei costi (soprattutto del personale,
aumentati del 30% in due anni) e un calo costante e notevole dei
viaggiatori, tanto da far sostenere che la sovvenzione necessaria
a fronteggiare le passività dovesse essere determinata in misura
del doppio di quella prevista14.
Tuttavia, il disegno fu
approvato a maggioranza, nel luglio 1965, nonostante le forti
perplessità e la convinzione che, purtroppo, già a due anni dal
ripristino, il bilancio economico del tronco ricostruito si
dimostrava largamente negativo, senza la speranza di un’inversione
di rotta negli anni a seguire.
In effetti, la mancanza di una
sovvenzione adeguata non avrebbe consentito la continuazione del
servizio ferroviario sul tronco alto, potendo la società
concessionaria o rinunciare alla concessione, chiedendo il
risarcimento dei danni allo Stato per inadempimento della
convenzione di concessione, o sostituire interamente il servizio
ferroviario con quello automobilistico, rendendo vani, così, tutti
gli ingenti finanziamenti impiegati per la ricostruzione, senza
considerare che la soppressione della ferrovia avrebbe suscitato
le vibranti proteste delle popolazioni interessate.
Fu quindi emanata,
obtorto collo, la legge 26 luglio 1965, n. 971 (Disposizioni
per la concessione di una sovvenzione per l'esercizio del tronco
ferroviario Santa Maria Capua Vetere-Piedimonte d'Alife),
nella consapevolezza dei legislatori che gran parte delle ferrovie
secondarie (e parte di quelle statali) erano da considerarsi dei
rami secchi e che ormai era indifferibile la sostituzione
di ferrovie estremamente passive con autolinee. Infatti,
contemporaneamente al disegno di legge fu approvato un ordine del
giorno alla Camera con il quale, rilevato che le condizioni di
esercizio delle ferrovie in concessione erano (e lo sarebbero
stato anche per il futuro) in contrasto con le basilari norme di
amministrazione e constatato che non era più ammissibile che
alcune situazioni patologiche continuassero a danno dell’economia,
si invitava il Governo a predisporre urgentemente lo studio per la
razionale sistemazione, anche legislativa, delle concessioni delle
ferrovie secondarie e delle autolinee.
Come primo atto, in
ossequio all’ordine del giorno, si insediò una commissione
interministeriale trasporti-tesoro che, nel 1966, classificò le
ferrovie in concessione in tre gruppi: nel primo, inserì le linee
che svolgevano un servizio insostituibile (soprattutto nei
comprensori delle maggiori città), da potenziarsi e mantenersi
anche a costo di oneri gravosi per lo Stato; nel secondo, inserì
le linee di minore importanza, ma ancora utili e bisognose solo di
provvedimenti per la messa in sicurezza dell’esercizio; nel terzo,
furono inserite le linee da sostituirsi con servizi stradali,
eccessivamente onerose in relazione all’importanza e al traffico
servito.
Nonostante le
discussioni che accompagnarono l’approvazione della legge del
1965, la Ferrovia Alifana non corse il rischio di essere inserita
nel terzo gruppo e continuò ad esercitare, pur fra tante
difficoltà, il servizio ferroviario in entrambi i tronchi; anzi,
un decennio dopo, con la legge n. 86 del 1976 (ved.
infra paragrafo 2b), beneficiò di un ulteriore sforzo
finanziario statale per il potenziamento e l’ammodernamento
dell’intera linea, vedendosi riconoscere, senza contrasti,
l’importante funzione di svolgere un servizio di trasporto
casa - lavoro o luogo di studio di cospicue masse di lavoratori e
studenti, il tutto alla luce dell’inversione di tendenza a
favore del mezzo su rotaia, rilevandosi le crescenti difficoltà
incontrate dal trasporto su gomma sugli itinerari di penetrazione
dei centri urbani.
Note
1La
ferrovia Napoli - Piedimonte d’Alife (o Alifana)
rientrava nel settore delle ferrovie secondarie o minori,
ossia aventi carattere regionale o locale, regolate dal Regio
Decreto 9 maggio 1912 n.1447 (Disposizioni di legge per le
ferrovie concesse all’industria privata). Oggi, in Italia, ne
risultano ancora operanti circa una trentina (con 3.500 Km di
linee), dopo la notevole soppressione attuata nel dopoguerra, in
quanto ritenute antieconomiche e improduttive.
2
In media, nelle
ferrovie secondarie, gli incassi non raggiungevano il 10% dei
costi. In particolare, nella Ferrovia Alifana, i costi aumentavano
considerevolmente per il numero del personale impiegato, che dalle
140 unità dell’originario organico era salito a 400 unità nel
1966, dopo il ripristino dell’Alifana alta. Per il personale in
esubero, solitamente, se non assorbito da altro ente, si attendeva
fino al collocamento a riposo per limiti d’età; ad esempio, la
dirigenza di movimento di S. Andrea dei Lagni fu soppressa nel
1949, ritenendosi sufficiente la sola dirigenza di Aversa a
controllare l’unico tronco rimasto in esercizio (Capua-Aversa-Napoli),
ma la decisione fu attuata solo con decorrenza dal 1° febbraio
1956, proprio per consentire il pensionamento di tutto il
personale impiegatovi.
3La
convenzione di concessione per la costruzione e l’esercizio di una
ferrovia da Napoli a Piedimonte d’Alife del 27 marzo 1900 fu
approvata con Regio decreto 1 aprile 1900 n. 197; negli anni
successivi intervennero una convenzione modificativa (approvata
con R.D. 07.08.1909 n. 628) e una convenzione suppletiva
(approvata con R.D. 02.05.1915 n. 664).
4Si fece
tuttavia osservare che non poteva essere preso a riferimento il
deficit di esercizio nel decennio 1931-1940, in quanto, in quegli
anni, mentre la ferrovia Napoli - Piedimonte era orientata verso
Caserta, la vita amministrativa e le relative comunicazioni si
svolgevano in direzione di Benevento, all’epoca capoluogo di
provincia per l’alifano, dopo la soppressione della provincia di
Caserta, ricostituita solo nel 1945.
5Il servizio
stradale sostitutivo già si svolgeva dal 1946, in forma
provvisoria, in attesa di una decisione definitiva sulla
ricostruzione del tronco alto.
6Lo Stato si rifiutava però di
assumere direttamente la gestione delle ferrovie in concessione,
in quanto riteneva che fosse più economico, pratico ed utile
affidare la gestione di dette linee (soprattutto quelle a
scartamento ridotto) ai privati concessionari.
7La
società anonima francese Compagnie des Chemins de Fer du Midi
de l’Italie, con sede a Parigi, si era costituita con capitale
sociale di 5 milioni di franchi e statuti ricevuti dal notaio
Bourdel di Parigi il 22 dicembre 1905, subentrando nella
concessione ad un’altra società francese. La concessione
originaria aveva la durata di 50 anni a decorre dall’attivazione
dell’ultimo tronco, avvenuta nel 1914: pertanto, la concessione
sarebbe scaduta nel 1964.
8La
Compagnie aveva chiesto i danni per le perdite subite a causa
della guerra, valutati in circa un miliardo di lire; si arrivò ad
una transazione per la somma di soli 10 milioni di lire, a fondo
perduto, ma con la promessa di un rinnovo della concessione della
ferrovia.
9Invece, per
la riparazione del materiale rotabile e d'esercizio di proprietà
dei concessionari e per l'acquisto di nuovo materiale rotabile e
d'esercizio in sostituzione di quello andato perduto o distrutto
poteva essere concesso un concorso dello stato sino al 50 per
cento della spesa prevista. Alla Compagnie fu riconosciuto
un contributo statale pari al valore del 100% degli impianti fissi
e del 50% del materiale rotabile.
10La
sostituzione poteva essere provvisoria o definitiva; in ogni caso,
per la soppressione della linea ferroviaria, inutile o
cronicamente antieconomica (c.d. ramo secco), doveva
intervenire un’apposita legge. Fino ai primi anni Sessanta, furono
definitivamente sostituite con autolinee circa 4.000 chilometri di
linee ferrotranviarie.
11La
precedente normativa, la legge n. 410 del 1949, prevedeva un
sussidio statale ad integrale ripianamento delle perdite, mentre
la legge n. 1221 del 1952 si limitava a stabilire una sovvenzione
ordinaria in base ai chilometri della linea, quale rimborso
forfettario delle spese, lasciando alla concessionaria l’onere di
ripianare l’ulteriore deficit. Conseguentemente, aumentò il
rischio di impresa per la concessionaria, la quale poteva soltanto
richiedere una revisione della sovvenzione, qualora fossero
aumentati sensibilmente i costi di gestione. L’importo della
sovvenzione doveva essere determinato da una commissione
interministeriale e, per le linee dell’Italia meridionale ed
insulare che rivestivano particolare importanza sociale non poteva
essere superato il limite massimo di lire 1.400.000 al chilometro,
se non mediante apposita legge.
12 “Nuova”,
in quanto la ferrovia sarebbe stata ricostruita e completamente
rinnovata, con modifiche tecniche e di tracciato. Il successivo
D.P.R. 14 ottobre 1958 n. 1107 approvò la riduzione della
trattenuta in garanzia.
13La
Ferrovia Alifana, essendo stata (parzialmente) ricostruita con i
fondi autorizzati dalla legge n. 410/1949, beneficiava ancora del
contributo di integrale ripianamento delle perdite di esercizio
previsto da tale legge; era quindi necessario, onde non aggravare
il bilancio dello Stato, arrivare alla determinazione della
sovvenzione chilometrica di cui alla legge n. 1221/1952, con
limitazione al rimborso forfettario delle spese, almeno per il
tronco alto. In sede di revisione della sovvenzione si
sarebbe poi tenuto conto dell’onere per l’ammodernamento e degli
interessi della spese di ricostruzione per gli immobili e gli
impianti fissi non coperte dal contributo erogato ex legge n. 410
del 1949.
14Dopo qualche mese di
esercizio, nel settembre 1963, si paventò addirittura la chiusura
dell’intera ferrovia. |