a. La situazione del tronco
basso dal dopoguerra e la progressiva decadenza della ferrovia
Il tronco basso, invece, aveva
riportato danni non molto rilevanti per la guerra e quindi, in
breve tempo, fu messo in esercizio: già agli inizi del 1950, tra
Napoli e Capua, venivano effettuate undici coppie di corse
giornaliere di treni. Tuttavia, esso era bisognoso di
indifferibile ammodernamento delle infrastrutture e del materiale
rotabile (ancora quello originario per gran parte), sia per far
fronte alle aumentate esigenze della popolazione interessata, sia
ai fini della sicurezza dei passeggeri.
Contrariamente al tronco alto,
originariamente destinato alla sostituzione definitiva da parte
delle autolinee (3a categoria), la Commissione di
studio per il piano regolatore delle ferrovie, istituita presso il
Consiglio superore dei lavori pubblici, aveva stabilito, nel 1948,
rilevandosi la necessità di introdurre opportune modifiche per
adeguare le caratteristiche del servizio allo svolgimento del
traffico intenso, che le opere relative al tronco basso fossero da
classificarsi in 2a categoria, cioè fra quelle opere da
eseguirsi in un secondo tempo, appena le condizioni di bilancio lo
avessero consentito.
Tali condizioni di
bilancio, però, non si verificarono negli anni successivi, anche
perché tutte le energie e gli stanziamenti destinati dalle leggi
alla ferrovia furono assorbiti dal distrutto tronco alto, il quale
rischiava di scomparire per sempre se non si fosse proceduto ad
una rapida ricostruzione.
Intanto, all’inizio
degli anni Cinquanta, la società concessionaria, la Compagnie
des Chemins de Fer du Midi de l’Italie aveva già presentato
anche per il tronco basso un progetto di ammodernamento,
nell’ambito della risistemazione di tutta la linea.
Nel quadro della
riorganizzazione del settore prevista dalla legge 2 agosto 1952,
n. 1221, la ferrovia, considerata unitariamente, non fu
classificata in alcuna categoria e quindi il tronco basso non fu
individualmente considerato e inserito tra le linee risanabili
mediante ammodernamento, trasformazione o sostituzione degli
impianti e del materiale rotabile (art. 1, lett b). In mancanza
dell’approvazione dell’ammodernamento da parte del Ministero dei
trasporti, su parere della Commissione interministeriale, non fu
neanche determinata la sovvenzione chilometrica di esercizio, la
cui erogazione era proprio subordinata alla realizzazione del
potenziamento tecnico della ferrovia.
L’aiuto statale per il tronco
basso si limitò quindi all’erogazione di sussidi integrativi di
esercizio per ripianamento di bilancio, già previsti dalla legge
n. 410/1949, anche a beneficio del tronco alto.
A nulla valse anche il
decreto presidenziale 22 dicembre 1954, n. 1459, con il quale si
approvò il contratto di nuova concessione. Il decreto in oggetto,
oltre all’obbligo per la concessionaria di ricostruzione del
tronco alto, conteneva pure quello di ammodernare e potenziare il
primo tronco, relativo al tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, e
di presentare il relativo progetto per l’attuazione, ai fini
dell’applicazione della legge n. 1221/1952 (per determinare la
spesa di ammodernamento e la sovvenzione per l’esercizio della
ferrovia ammodernata).
Già a metà anni ’50, la
situazione del tronco basso era notevolmente peggiorata: si
rilevava ormai lo stato di totale carenza del servizio e di
arretratezza di tutti gli impianti ferroviari, in special modo,
per quanto riguarda la sede stradale, le automotrici, la linea
aerea, gli impianti telefonici, ecc. Del resto, proprio
l’arretratezza degli impianti costringeva ad una manutenzione
sempre più costosa, la quale incideva sfavorevolmente sui costi di
esercizio, richiedendo sussidi integrativi annuali sempre maggiori
da parte dello Stato1.
Nel 1955, la tratta
veniva amputata della testa, eliminandosi, in Napoli, per
imprescindibili esigenze urbanistiche e di circolazione del
capoluogo campano, il collegamento fra piazza Carlo III e lo Scalo
merci, che divenne nuovo capolinea. Anche la coda Capua - S. Maria
Capua Vetere rischiò più volte di essere eliminata, cosicché
nell’aprile 1956 vi fu un’interrogazione parlamentare con la quale
si chiedeva conto della sua (presunta) soppressione; in effetti,
la tratta – che creava notevoli disagi alla popolazione a causa
del passaggio a livello di via Galatina (S. Maria Capua Vetere),
privo del necessario impianto telefonico di segnalazione - era
destinata a scomparire al momento del ripristino del tronco alto,
avvenuto nel 1963.
Nel 1959, fra l’altro, la
diminuzione progressiva di efficienza del motore delle automotrici
determinò l’impossibilità di traino di più di una rimorchiata,
riducendo drasticamente il numero massimo di persone trasportate
per ciascun convoglio. A molti sembrò che la riduzione ad una
rimorchiata fosse un sintomo dell’eventuale progressiva
soppressione del servizio a favore del trasporto su gomma; infatti,
le autolinee sembravano davvero concorrenziali: il costo del loro
biglietto risultava inferiore; il tempo di percorrenza da Napoli
a S. Maria Capua Vetere era quasi la metà di quello del treno; i
ritardi e i disfunzioni erano presenti in misura ridotta. Nei
parlamentari dell’opposizione allignò il sospetto che si
intendesse favorire e privilegiare l’autotrasportatore privato, il
quale esercitava il servizio automobilistico in proprio e quale
noleggiatore di quello dell’Alifana.
Ma, in effetti, la gestione
della ferrovia era talmente passiva (nel 1959, il disavanzo fu
calcolato in circa 6 milioni al chilometro) senza i dovuti
ammodernamenti e potenziamenti che il ricorso al servizio di
autolinee (mediante noleggio degli automezzi), pur incidendo
positivamente sul bilancio della concessionaria dell’Alifana –
sostenuto, comunque, dai cospicui sussidi integrativi di esercizio
- , rimase un palliativo.
In ben tre circostanze, la
Commissione interministeriale per le ferrovie in concessione
approvò l’ammodernamento del tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere
- nel novembre 1957, nel gennaio 1959 e nell’aprile 1960 -, per
farlo rientrare nei benefici della legge n. 1121 del 1952 citata;
ma a tutte queste decisioni non seguì alcun finanziamento, poiché
si era spaventati non soltanto dall’ingente somma prevista (l’ammodernamento
si sarebbe concretizzato in una sostanziale ricostruzione,
dovendosi almeno adottare lo scartamento ordinario),
ma anche dalla pessimistica previsione che il servizio ferroviario
ammodernato avrebbe comportato risultati di gestione notevolmente
passivi, così come stava accadendo per le altre ferrovie in
concessione riattivate.
Il Governo, nella discussione
per la spesa del ministero di Trasporti per l’anno 1960-1961,
mediante intervento del suo ministro dei trasporti ad interim
Ferrari Aggradi, dichiarò, senza mezzi termini, che non si doveva
esitare, per un buon impegno delle risorse nazionali, di fronte
alla necessità di sopprimere quei servizi e quegli impianti fissi
che non avessero una chiara e valida ragion d’essere:
quando il servizio automobilistico appariva pienamente capace di
sostituire una ferrovia, la cui gestione si fosse dimostrata
inguaribilmente antieconomica, il mantenimento di quest’ultima
avrebbe costituito una manifestazione di mal governo e di
sperpero del pubblico denaro.
L’affermazione non sembrava
riguardare l’Alifana, dato che il Ministro, in appendice al suo
discorso, oltre a ricordare che si stavano completando i lavori di
ricostruzione del tronco alto, segnalava, con evidenza, che era
prossima la realizzazione dell’ammodernamento della Ferrovia
Alifana nel tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, così come già
approvato dalla Commissione interministeriale per le ferrovie in
concessione, in data 29 aprile 1960.
Ma deve essersi trattato
di un caso di riserva mentale perché i fondi per
l’ammodernamento della ferrovia non furono stanziati neanche negli
anni successivi, nonostante le pressanti interrogazioni
parlamentari, e quelli stanziati dalla legge n. 1121/1952 furono
tutti impegnati per altre opere. Al riguardo, si precisò da parte
del Governo, nel 1961, che era necessario un apposito disegno di
legge, poiché la sovvenzione prevista per l’esercizio
(eventualmente) ammodernato avrebbe superato i limiti ammessi
dalla legge n. 1221 del 1952, dovendosi tener conto, trattandosi
di linea unica, anche della sovvenzione per il tronco alto,
all’epoca, ancora non esattamente determinata.
L’apposito
disegno di legge, in effetti, fu presentato nel 1964 (e approvato
nel luglio 1965), ma riguardava unicamente – e ancora una volta –
il tronco alto, ormai ricostruito, bisognoso di fondi necessari
alla continuazione del servizio ferroviario.
Dopo l’ulteriore sforzo
finanziario dello Stato per la Ferrovia Alifana del 1965, non fu
facile, negli anni seguenti, invocare nuove misure legislative che
stanziassero le risorse necessarie per il potenziamento del tronco
basso. Purtroppo, occorrerà attendere fino al 1976, per una legge
speciale ad hoc, la n. 86 del 16 marzo 1976, la quale,
paradossalmente, invece di costituire il fulcro della rinascita
del tronco fu l’occasione per decretarne la fine, favorendo
l’interruzione (definitiva) del servizio per consentire il
necessario ammodernamento, che, in realtà, non sarà mai
completato.
Nella seconda metà degli
anni Sessanta, la situazione precipitò inesorabilmente: il
servizio ferroviario non aveva continuità di esercizio nel tronco
basso, che ormai risultava essere, col passare degli anni, sempre
più inadeguato, con materiale obsoleto (frequenti erano le
interruzioni per mal funzionamento dei materiali), soppiantato,
per gli abitanti del casertano, dalla linea ferroviaria dell’Alifana
alta che utilizzava, a completamento, la tratta delle ferrovie
statali Caserta – Napoli, e, per le popolazioni dell’area
napoletana, dalla linea F.S. Capua – Napoli; a queste concause
bisogna poi aggiungere il rilevante (e concorrenziale) servizio
automobilistico svolto da diversi concessionari, fra cui l’Alifana
stessa.
La crisi della ferrovia
sembrò essere irreversibile alla fine del 28 febbraio 1969, quando
circolò la voce che la società pubblica
(del Comune di Napoli)
proprietaria dall’ottobre 1968, le T.P.N., intendesse chiudere
definitivamente il tronco basso. La notizia fu ufficialmente
smentita, rilanciandosi, anzi, per l’ennesimo volta, l’imminente
ammodernamento, approvato dalla commissione interministeriale ex
legge n. 410/1949; questa determinò un ulteriore sussidio
integrativo di esercizio in favore della Compagnia di 75 milioni
di lire per lavori di straordinaria manutenzione e 100 milioni di
lire per la prosecuzione dei lavori (di ammodernamento), da
svolgersi secondo un programma predisposto dalla concessionaria.
Per tutta risposta alle
buone intenzioni, l’Alifana bassa perse ancora un tratto di linea
(la tratta Scalo merci – Secondigliano, nel 1971) e cessò il
servizio nelle ore pomeridiane, dopo le 14,00, nel 1974 (per il
rifiuto di prestare lavoro straordinario da parte dei cantonieri
addetti alla custodia dei passaggi a livello). Nonostante
l’inarrestabile declino, si auspicarono nuove penetrazioni
all’interno di Napoli (irrealizzabili per l’alta urbanizzazione),
collegamenti futuri con la parte alta dell’Adriatica e il
prolungamento, da Piedimonte Matese, in galleria, sotto il Matese,
attraversando la valle di Boiano (riprendendosi così un vecchio
progetto del 1916).
b. L’interruzione del
servizio ferroviario e la scomparsa dell’antico tracciato del
tronco basso
Nel 1974 venne presentato dal
Governo un disegno di legge per il potenziamento dei servizi
ferroviari nell’area metropolitana di Napoli e Milano. A seguito
dell’approvazione nel 1975 di un emendamento che aggiungeva lo
stanziamento di fondi a favore della Ferrovia Alifana, il Senato
stralciò la modifica creando un provvedimento ad hoc per la
ferrovia Napoli – Piedimonte Matese. Poco prima dell’approvazione
definitiva del disegno di legge in Commissione trasporti della
Camera (avvenuta il 27 febbraio 1976), le Tranvie Provinciali di
Napoli, dopo una riunione tecnica presso gli uffici del servizio
trasporti della Regione Campania, in data 9 febbraio 1976,
decisero di sospendere l’esercizio della ferrovia Alifana bassa.
Si prese atto che, a seguito di accertamento da parte del
competente ufficio provinciale della motorizzazione civile e
trasporti in concessione, mancavano le condizioni di sicurezza
indispensabili per il proseguimento del servizio. Si formò una
commissione con la partecipazione di tutti, sindacati,
concessionaria e ministero, per accertare lo stato di uso degli
impianti, i lavori urgenti da effettuare e la sussistenza delle
condizioni di sicurezza di esercizio. Intanto, fermo rimanendo la
salvezza del posto di lavoro di tutti i dipendenti, si
predisposero le misure per la salvaguardia degli impianti e la
loro conservazione; infine, si garantì che i collegamenti dei
centri abitati già serviti dalla ferrovia continuavano ad essere
assicurati dalle numerose autolinee delle tranvie provinciali
di Napoli che transitano nella zona.
In effetti, si potrebbe pensare
che società concessionaria, essendo certa dell’approvazione del
disegno di legge sull’ammodernamento, oramai prossima, sospese il
servizio nella convinzione di dover installare, a breve, gli
appositi cantieri per le opere di ristrutturazione.
Il disegno di legge del
1974, dopo lo stralcio dell’emendamento a favore dell’Alifana, si
tramutò nella legge 16 marzo 1976 n. 86 (Disposizioni
per l'ammodernamento e il potenziamento della Ferrovia Alifana),
con stanziamento di 63 miliardi, in cinque anni, per
l’ammodernamento e il potenziamento della ferrovia; però, solo
dopo due anni fu approvato (D.M. 05.02.1978 n. 137) il programma
di potenziamento presentato dalle T.P.N., mentre trascorsero altri
anni prima che fosse approvato il progetto esecutivo per procedere
alle gare d’appalto.
I lavori di
ammodernamento, iniziati in ritardo nel 1984 e proseguiti con
lentezza, furono sospesi quando l’esattoria comunale di Napoli, a
fronte dell’insolvenza della società concessionaria (nel frattempo
divenuta Consorzio dei Trasporti Pubblici, C.T.P.), pignorò gli
ordinativi di pagamento relativi ai primi lavori di
ristrutturazione, impedendo l’impiego dei fondi stanziati.
Per tal motivo, constatata
l’impossibilità finanziaria della concessionaria a realizzare
l’ammodernamento, il Ministero dei trasporti, con decreto 13
maggio 1986, n. 877 (la
concessione scadeva comunque nel 1989),
dichiarò decaduto il Consorzio dalla concessione della Ferrovia
Alifana. La ferrovia fu quindi commissariata, ma i fondi stanziati
dieci anni prima si rivelarono ormai insufficienti e
l’ammodernamento della ferrovia non fu pertanto completato
In attesa di ulteriori
finanziamenti statali2 e di nuovi e rinnovati progetti
di ammodernamento, i lavori di potenziamento rimasero sospesi e,
purtroppo, la ferrovia, inattiva, fu completamente lasciata
incustodita consentendo, in tal modo, al
dilagante sviluppo edilizio
della zona di inghiottirne rapidamente gli impianti. E
così, dopo anni di completo abbandono e incuria, la sede
ferroviaria del tronco basso è in gran parte scomparsa sotto
l’espansione dei centri urbani raggiunti dalla ferrovia. La
prevista
ricostruzione, in fase
di attuazione, ha dovuto quindi pianificare un diverso percorso.
Gli enti - sia pubblici che
privati – che, dal secondo dopoguerra fino gli anni Ottanta, si
avvicendarono nella gestione della Compagnia concessionaria3,
spaventati dai cronici risultati negativi della gestione della
Ferrovia, non rischiarano i necessari cospicui investimenti (considerando,
fra l’altro, che, scaduta la concessione, la proprietà del
materiale fisso si trasferiva allo Stato),
né predisposero una strategia convincente e ambiziosa di sviluppo
di lungo termine; la progressiva distruzione e scomparsa pressoché
totale delle infrastrutture del tronco basso fu indubbiamente la
conseguenza del mancato ammodernamento della linea ferroviaria, ma
la perdurante assenza dei fondi statali, nel ventennio 1955-75, è
conseguenza di quell’atteggiamento critico verso le ferrovie
secondarie in concessione - considerate generalmente dei rami
secchi, per le motivazioni illustrate in relazione alle
vicende ricostruttive del tronco alto – assai diffuso nella classe
politica, ad eccezione, naturalmente, dei rappresentanti delle
comunità locali interessate dallo specifico servizio.
E allora, se un provvedimento
di soppressione della linea ferroviaria poteva incorrere nelle
vibranti poteste delle popolazioni servite dalla linea stessa (ad
essa pure sentimentalmente legati) – e far perdere anche consenso
elettorale, nonché il posto ai dipendenti -, Stato e
concessionaria attuavano una procedura di “soppressione tacita”,
facendo lentamente decadere la ferrovia, trascurandola e
svilendone il servizio4.
E’ difficile poi stabilire se
la suddivisione in due tronchi della ferrovia abbia nociuto alla
tratta bassa. Se è pur vero che il tronco alto richiese
inizialmente la gran parte dei finanziamenti statali, a scapito
dell’altra tratta (che comunque ha beneficiato di numerosi
contributi statali integrativi), non si ha la certezza che lo
Stato avrebbe affrontato la spesa di ricostruzione e
ammodernamento dell’intera linea, potendo invece addivenire, onde
evitare l’ingente spesa (a mero favore di una ferrovia
secondaria), alla sua sostituzione, immediata e definitiva, con
autolinee. Certo è, però, che i risultati economici non positivi
dell’esercizio ferroviario del ricostruito tronco alto non
incoraggiarono ulteriori sforzi finanziari a favore del
risanamento del tronco basso, almeno fino al 1976: e dopo questa
data che si è perso davvero l’ultima occasione, o meglio ….
l’ultimo treno, per rinnovare il servizio sull’originario
tracciato.
Note
1Nel 1956,
tale contributo statale risultava essere per l’Alifana di circa
240 milioni annui, mentre nel 1964 superava il mezzo miliardo di
lire.
2I successivi
provvedimenti legislativi degli anni Ottanta furono: la
legge 14 maggio 1981, n. 219 (Provvedimenti organici per
la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dagli eventi
sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981), la legge 1°
marzo 1986, n. 64 (Disciplina organica dell'intervento
straordinario nel Mezzogiorno), la legge 22 dicembre
1986, n. 910 (Legge
finanziaria 1987, art. 2). Invece, con l’art. 1 comma 7 del
decreto-legge 4 marzo 1989 n. 77 (Disposizioni urgenti in
materia di trasporti e di concessioni marittime) si decise
l’accorpamento delle gestioni governative per la Ferrovia Alifana
e per la ferrovia Benevento-Napoli in un'unica gestione.
3Tali enti furono: la
Gestione commissariale governativa (fino al dicembre 1954), la
Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie s.a.
(fino alla fine di gennaio 1962), la Compagnia delle Ferrovie del
Mezzogiorno d’Italia s.p.a. (fino all’ottobre 1968, in
proprietà delle società Impresa Pietro Cidonio s.p.a. - Società
Italiana per condotte d’acqua s.p.a., e fino al 1973, in proprietà
delle T.P.N.), le Tranvie Provinciali di Napoli s.p.a.
(fino allo scioglimento del 1978), il Consorzio dei Trasporti
Pubblici di Napoli, originatosi dalle T.P.N. (fino alla revoca
del 1986).
4La procedura
di “soppressione tacita” di una ferrovia fu ben descritta
dall’on. Vedovato, alla
Camera dei Deputati, nella
seduta del 21 ottobre 1957: “si comincia col lasciare andare
sempre più giù il servizio, si fanno orari sempre peggiori, si
diminuisce il numero dei treni e delle vetture, si usano veicoli
scomodi e spesso poco decorosi per i viaggiatori, si evita il più
semplice miglioramento e si continua così per anni sempre con lo
stesso servizio, per forza d’inerzia, in modo da stancare poco a
poco il pubblico e far diminuire il traffico, mentre crescono
gradatamente le spese per la vetustà dei mezzi e dei sistemi; può
bastare un modesto incidente per lasciare interrotta la ferrovia
per mesi e talvolta per anni !” |