LA FERROVIA ALIFANA
NAPOLI - S.MARIA CAPUA V. - PIEDIMONTE MATESE

LA FERROVIA ALIFANA DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI SETTANTA

di Roberto Ferrazza

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2. IL MANCATO AMMODERNAMENTO DEL TRONCO BASSO
(CAPUA - S. MARIA CAPUA VETERE - NAPOLI)

a. La situazione del tronco basso dal dopoguerra e la progressiva decadenza della ferrovia

Il tronco basso, invece, aveva riportato danni non molto rilevanti per la guerra e quindi, in breve tempo, fu messo in esercizio: già agli inizi del 1950, tra Napoli e Capua, venivano effettuate undici coppie di corse giornaliere di treni. Tuttavia, esso era bisognoso di indifferibile ammodernamento delle infrastrutture e del materiale rotabile (ancora quello originario per gran parte), sia per far fronte alle aumentate esigenze della popolazione interessata, sia ai fini della sicurezza dei passeggeri.

Contrariamente al tronco alto, originariamente destinato alla sostituzione definitiva da parte delle autolinee (3a categoria), la Commissione di studio per il piano regolatore delle ferrovie, istituita presso il Consiglio superore dei lavori pubblici, aveva stabilito, nel 1948, rilevandosi la necessità di introdurre opportune modifiche per adeguare le caratteristiche del servizio allo svolgimento del traffico intenso, che le opere relative al tronco basso fossero da classificarsi in 2a categoria, cioè fra quelle opere da eseguirsi in un secondo tempo, appena le condizioni di bilancio lo avessero consentito.

Tali condizioni di bilancio, però, non si verificarono negli anni successivi, anche perché tutte le energie e gli stanziamenti destinati dalle leggi alla ferrovia furono assorbiti dal distrutto tronco alto, il quale rischiava di scomparire per sempre se non si fosse proceduto ad una rapida ricostruzione.

Intanto, all’inizio degli anni Cinquanta, la società concessionaria, la Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie aveva già presentato anche per il tronco basso un progetto di ammodernamento, nell’ambito della risistemazione di tutta la linea.

Nel quadro della riorganizzazione del settore prevista dalla legge 2 agosto 1952, n. 1221, la ferrovia, considerata unitariamente, non fu classificata in alcuna categoria e quindi il tronco basso non fu individualmente considerato e inserito tra le linee risanabili mediante ammodernamento, trasformazione o sostituzione degli impianti e del materiale rotabile (art. 1, lett b). In mancanza dell’approvazione dell’ammodernamento da parte del Ministero dei trasporti, su parere della Commissione interministeriale, non fu neanche determinata la sovvenzione chilometrica di esercizio, la cui erogazione era proprio subordinata alla realizzazione del potenziamento tecnico della ferrovia.

L’aiuto statale per il tronco basso si limitò quindi all’erogazione di sussidi integrativi di esercizio per ripianamento di bilancio, già previsti dalla legge n. 410/1949, anche a beneficio del tronco alto.

A nulla valse anche il decreto presidenziale 22 dicembre 1954, n. 1459, con il quale si approvò il contratto di nuova concessione. Il decreto in oggetto, oltre all’obbligo per la concessionaria di  ricostruzione del tronco alto, conteneva pure quello di ammodernare e potenziare il primo tronco, relativo al tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, e di presentare il relativo progetto per l’attuazione, ai fini dell’applicazione della legge n. 1221/1952 (per determinare la spesa di ammodernamento e la sovvenzione per l’esercizio della ferrovia ammodernata). 

Già a metà anni ’50, la situazione del tronco basso era notevolmente peggiorata: si rilevava ormai lo stato di totale carenza del servizio e di arretratezza di tutti gli impianti ferroviari, in special modo, per quanto riguarda la sede stradale, le automotrici, la linea aerea, gli impianti telefonici, ecc. Del resto, proprio l’arretratezza degli impianti costringeva ad una manutenzione sempre più costosa, la quale incideva sfavorevolmente sui costi di esercizio, richiedendo sussidi integrativi annuali sempre maggiori da parte dello Stato1.

Nel 1955, la tratta veniva amputata della testa, eliminandosi, in Napoli, per imprescindibili esigenze urbanistiche e di circolazione del capoluogo campano, il collegamento fra piazza Carlo III e lo Scalo merci, che divenne nuovo capolinea. Anche la coda Capua - S. Maria Capua Vetere rischiò più volte di essere eliminata, cosicché nell’aprile 1956 vi fu un’interrogazione parlamentare con la quale si chiedeva conto della sua (presunta) soppressione; in effetti, la tratta – che creava notevoli disagi alla popolazione a causa del  passaggio a livello di via Galatina (S. Maria Capua Vetere), privo del necessario impianto telefonico di segnalazione - era destinata a scomparire al momento del ripristino del tronco alto, avvenuto nel 1963. 

Nel 1959, fra l’altro, la diminuzione progressiva di efficienza del motore delle automotrici determinò l’impossibilità di traino di più di una rimorchiata, riducendo drasticamente il numero massimo di persone trasportate per ciascun convoglio. A molti sembrò che la riduzione ad una rimorchiata fosse un sintomo dell’eventuale progressiva soppressione del servizio a favore del trasporto su gomma; infatti, le autolinee sembravano davvero concorrenziali: il costo del loro biglietto risultava inferiore;  il tempo di percorrenza da Napoli a S. Maria Capua Vetere era quasi la metà di quello del treno; i ritardi e i disfunzioni erano presenti in misura ridotta. Nei parlamentari dell’opposizione allignò il sospetto che si intendesse favorire e privilegiare l’autotrasportatore privato, il quale esercitava il servizio automobilistico in proprio e quale noleggiatore di quello dell’Alifana.

Ma, in effetti, la gestione della ferrovia era talmente passiva (nel 1959, il disavanzo fu calcolato in circa 6 milioni al chilometro) senza i dovuti ammodernamenti e potenziamenti che il ricorso al servizio di autolinee (mediante noleggio degli automezzi), pur incidendo positivamente sul bilancio della concessionaria dell’Alifana – sostenuto, comunque, dai cospicui sussidi integrativi di esercizio - , rimase un palliativo. 

In ben tre circostanze, la Commissione interministeriale per le ferrovie in concessione approvò l’ammodernamento del tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere - nel novembre 1957, nel gennaio 1959  e nell’aprile 1960 -, per farlo rientrare nei benefici della legge n. 1121 del 1952 citata; ma a tutte queste decisioni non seguì alcun finanziamento, poiché si era spaventati non soltanto dall’ingente somma prevista (l’ammodernamento si sarebbe concretizzato in una sostanziale ricostruzione, dovendosi almeno adottare lo scartamento ordinario), ma anche dalla pessimistica previsione che il servizio ferroviario ammodernato avrebbe comportato risultati di gestione notevolmente passivi, così come stava accadendo per le altre ferrovie in concessione riattivate.

Il Governo,  nella discussione per la spesa del ministero di Trasporti per l’anno 1960-1961, mediante intervento del suo ministro dei trasporti ad interim Ferrari Aggradi, dichiarò, senza mezzi termini, che non si doveva esitare, per un buon impegno delle risorse nazionali, di fronte alla necessità di sopprimere quei servizi e quegli impianti fissi che non avessero una chiara e valida ragion d’essere: quando il servizio automobilistico appariva pienamente capace di sostituire una ferrovia, la cui gestione si fosse dimostrata inguaribilmente antieconomica, il mantenimento di quest’ultima avrebbe costituito una manifestazione di mal governo e di sperpero del pubblico denaro.  

L’affermazione non sembrava riguardare l’Alifana, dato che il Ministro, in appendice al suo discorso, oltre a ricordare che si stavano completando i lavori di ricostruzione del tronco alto, segnalava, con evidenza, che era prossima la realizzazione dell’ammodernamento della Ferrovia Alifana nel tratto Napoli - S. Maria Capua Vetere, così come già approvato dalla Commissione interministeriale per le ferrovie in concessione, in data 29 aprile 1960. 

Ma deve essersi trattato di un caso di riserva mentale perché i fondi per l’ammodernamento della ferrovia non furono stanziati neanche negli anni successivi, nonostante le pressanti interrogazioni parlamentari, e quelli stanziati dalla legge n. 1121/1952 furono tutti impegnati per altre opere. Al riguardo, si precisò da parte del Governo, nel 1961, che era necessario un apposito disegno di legge, poiché la sovvenzione prevista per l’esercizio (eventualmente) ammodernato avrebbe superato i limiti ammessi dalla legge n. 1221 del 1952, dovendosi tener conto, trattandosi di linea unica, anche della sovvenzione per il tronco alto, all’epoca, ancora non esattamente determinata.  

L’apposito disegno di legge, in effetti, fu presentato nel 1964 (e approvato nel luglio 1965), ma riguardava unicamente – e ancora una volta – il tronco alto, ormai ricostruito, bisognoso di fondi necessari alla continuazione del servizio ferroviario.

Dopo l’ulteriore sforzo finanziario dello Stato per la Ferrovia Alifana del 1965, non fu facile, negli anni seguenti, invocare nuove misure legislative che stanziassero le risorse necessarie per il potenziamento del tronco basso. Purtroppo, occorrerà attendere fino al 1976, per una legge speciale ad hoc, la n. 86 del 16 marzo 1976, la quale, paradossalmente, invece di costituire il fulcro della rinascita del tronco fu l’occasione per decretarne la fine, favorendo l’interruzione (definitiva) del servizio per consentire il necessario ammodernamento, che, in realtà, non sarà mai completato.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, la situazione precipitò inesorabilmente: il servizio ferroviario non aveva continuità di esercizio nel tronco basso, che ormai risultava essere, col passare degli anni, sempre più inadeguato, con materiale obsoleto (frequenti erano le interruzioni per mal funzionamento dei materiali), soppiantato, per gli abitanti del casertano, dalla linea ferroviaria dell’Alifana alta che utilizzava, a completamento, la tratta delle ferrovie statali Caserta – Napoli, e, per le popolazioni dell’area napoletana, dalla linea F.S. Capua – Napoli; a queste concause bisogna poi aggiungere il rilevante (e concorrenziale) servizio automobilistico svolto da diversi concessionari, fra cui l’Alifana stessa.

La crisi della ferrovia sembrò essere irreversibile alla fine del 28 febbraio 1969, quando circolò la voce che la società pubblica (del Comune di Napoli) proprietaria dall’ottobre 1968, le T.P.N.,  intendesse chiudere definitivamente il tronco basso. La notizia fu ufficialmente smentita, rilanciandosi, anzi, per l’ennesimo volta, l’imminente ammodernamento, approvato dalla commissione interministeriale ex legge n. 410/1949; questa determinò un ulteriore sussidio integrativo di esercizio in favore della Compagnia di 75 milioni di lire per lavori di straordinaria manutenzione e 100 milioni di lire per la prosecuzione dei lavori (di ammodernamento), da svolgersi secondo un programma predisposto dalla concessionaria.  

Per tutta risposta alle buone intenzioni, l’Alifana bassa perse ancora un tratto di linea (la tratta Scalo merci – Secondigliano, nel 1971) e cessò il servizio nelle ore pomeridiane, dopo le 14,00, nel 1974 (per il rifiuto di prestare lavoro straordinario da parte dei cantonieri addetti alla custodia dei passaggi a livello). Nonostante l’inarrestabile declino, si auspicarono nuove penetrazioni all’interno di Napoli (irrealizzabili per l’alta urbanizzazione), collegamenti futuri con la parte alta dell’Adriatica e il prolungamento, da Piedimonte Matese, in galleria, sotto il Matese, attraversando la valle di Boiano (riprendendosi così un vecchio progetto del 1916).

 

b. L’interruzione del servizio ferroviario e la scomparsa dell’antico tracciato del tronco basso

Nel 1974 venne presentato dal Governo un disegno di legge per il potenziamento dei servizi ferroviari nell’area metropolitana di Napoli e Milano. A seguito dell’approvazione nel 1975 di un emendamento che aggiungeva lo stanziamento di fondi a favore della Ferrovia Alifana, il Senato stralciò la modifica creando un provvedimento ad hoc per la ferrovia Napoli – Piedimonte Matese. Poco prima dell’approvazione definitiva del disegno di legge in Commissione trasporti della Camera (avvenuta il 27 febbraio 1976), le Tranvie Provinciali di Napoli, dopo una riunione tecnica presso gli uffici del servizio trasporti della Regione Campania, in data 9 febbraio 1976, decisero di sospendere l’esercizio della ferrovia Alifana bassa. Si prese atto che, a seguito di accertamento da parte del competente ufficio provinciale della motorizzazione civile e trasporti in concessione, mancavano le condizioni di sicurezza indispensabili per il proseguimento del servizio. Si formò una commissione con la partecipazione di tutti, sindacati, concessionaria e ministero, per accertare lo stato di uso degli impianti, i lavori urgenti da effettuare e la sussistenza delle condizioni di sicurezza di esercizio. Intanto, fermo rimanendo la salvezza del posto di lavoro di tutti i dipendenti, si predisposero le misure per la salvaguardia degli impianti e la loro conservazione; infine, si garantì che i collegamenti dei centri abitati già serviti dalla ferrovia continuavano ad essere assicurati dalle numerose autolinee delle tranvie provinciali di Napoli che transitano nella zona.

In effetti, si potrebbe pensare che società concessionaria, essendo certa dell’approvazione del disegno di legge sull’ammodernamento, oramai prossima, sospese il servizio nella convinzione di dover installare, a breve, gli appositi cantieri per le opere di ristrutturazione.

Il disegno di legge del 1974, dopo lo stralcio dell’emendamento a favore dell’Alifana, si tramutò nella legge 16 marzo 1976 n. 86 (Disposizioni per l'ammodernamento e il potenziamento della Ferrovia Alifana), con stanziamento di 63 miliardi, in cinque anni, per l’ammodernamento e il potenziamento della ferrovia; però, solo dopo due anni fu approvato (D.M. 05.02.1978 n. 137) il programma di potenziamento presentato dalle T.P.N., mentre trascorsero altri anni prima che fosse approvato il progetto esecutivo per procedere alle gare d’appalto.

I lavori di ammodernamento, iniziati in ritardo nel 1984 e proseguiti con lentezza, furono sospesi quando l’esattoria comunale di Napoli, a fronte dell’insolvenza della società concessionaria (nel frattempo divenuta Consorzio dei Trasporti Pubblici, C.T.P.), pignorò gli ordinativi di pagamento relativi ai primi lavori di ristrutturazione, impedendo l’impiego dei fondi stanziati.

Per tal motivo, constatata l’impossibilità finanziaria della concessionaria a realizzare l’ammodernamento, il Ministero dei trasporti, con decreto 13 maggio 1986, n. 877 (la concessione scadeva comunque nel 1989), dichiarò decaduto il Consorzio dalla concessione della Ferrovia Alifana. La ferrovia fu quindi commissariata, ma i fondi stanziati dieci anni prima si rivelarono ormai insufficienti e l’ammodernamento della ferrovia non fu pertanto completato

In attesa di ulteriori finanziamenti statali2 e di nuovi e rinnovati progetti di ammodernamento, i lavori di potenziamento rimasero sospesi e, purtroppo, la ferrovia, inattiva, fu completamente lasciata incustodita consentendo, in tal modo, al dilagante sviluppo edilizio della zona di inghiottirne rapidamente gli impianti. E così, dopo anni di completo abbandono e incuria, la sede ferroviaria del tronco basso è in gran parte scomparsa sotto l’espansione dei centri urbani raggiunti dalla ferrovia. La prevista ricostruzione, in fase di attuazione, ha dovuto quindi pianificare un diverso percorso.

Gli enti  - sia pubblici che privati – che, dal secondo dopoguerra fino gli anni Ottanta, si avvicendarono nella gestione della Compagnia concessionaria3, spaventati dai cronici risultati negativi della gestione della Ferrovia, non rischiarano i necessari cospicui investimenti (considerando, fra l’altro, che, scaduta la concessione, la proprietà del materiale fisso si trasferiva allo Stato), né predisposero una strategia convincente e ambiziosa di sviluppo di lungo termine; la progressiva distruzione e scomparsa pressoché totale delle infrastrutture del tronco basso fu indubbiamente la conseguenza del mancato ammodernamento della linea ferroviaria, ma la perdurante assenza dei fondi statali, nel ventennio 1955-75, è conseguenza di quell’atteggiamento critico verso le ferrovie secondarie in concessione - considerate generalmente dei rami secchi, per le motivazioni illustrate in relazione alle vicende ricostruttive del tronco alto – assai diffuso nella classe politica, ad eccezione, naturalmente, dei rappresentanti delle comunità locali interessate dallo specifico servizio.

E allora, se un provvedimento di soppressione della linea ferroviaria poteva incorrere nelle vibranti poteste delle popolazioni servite dalla linea stessa (ad essa pure sentimentalmente legati) – e far perdere anche consenso elettorale, nonché il posto ai dipendenti -, Stato e concessionaria attuavano una procedura di “soppressione tacita”, facendo lentamente decadere la ferrovia, trascurandola e svilendone il servizio4.

E’ difficile poi stabilire se la suddivisione in due tronchi della ferrovia abbia nociuto alla tratta bassa.  Se è pur vero che il tronco alto richiese inizialmente la gran parte dei finanziamenti statali, a scapito dell’altra tratta (che comunque ha beneficiato di numerosi contributi statali integrativi), non si ha la certezza che lo Stato avrebbe affrontato la spesa di ricostruzione e ammodernamento dell’intera linea, potendo invece addivenire, onde evitare l’ingente spesa (a mero favore di una ferrovia secondaria), alla sua sostituzione, immediata e definitiva, con autolinee. Certo è, però, che i risultati economici non positivi dell’esercizio ferroviario del ricostruito tronco alto non incoraggiarono ulteriori sforzi finanziari a favore del risanamento del tronco basso, almeno fino al 1976: e dopo questa data che si è perso davvero l’ultima occasione, o meglio …. l’ultimo treno, per rinnovare il servizio sull’originario tracciato.

 

Note

1Nel 1956, tale contributo statale risultava essere per l’Alifana di circa 240 milioni annui, mentre nel 1964  superava il mezzo miliardo di lire.

2I successivi provvedimenti legislativi degli anni Ottanta furono: la legge 14 maggio 1981, n. 219 (Provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981), la legge 1° marzo 1986, n. 64 (Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno), la legge 22 dicembre 1986, n. 910 (Legge finanziaria 1987, art. 2). Invece, con l’art. 1 comma 7 del decreto-legge 4 marzo 1989 n. 77 (Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di concessioni marittime) si decise l’accorpamento delle gestioni governative per la Ferrovia Alifana e per la ferrovia Benevento-Napoli in un'unica gestione.

3Tali enti furono: la Gestione commissariale governativa (fino al dicembre 1954), la Compagnie des Chemins de Fer du Midi de l’Italie s.a. (fino alla fine di gennaio 1962), la Compagnia delle Ferrovie del Mezzogiorno d’Italia s.p.a. (fino all’ottobre 1968, in proprietà delle società Impresa Pietro Cidonio s.p.a. - Società Italiana per condotte d’acqua s.p.a., e fino al 1973, in proprietà delle T.P.N.), le Tranvie Provinciali di Napoli s.p.a. (fino allo scioglimento del 1978), il Consorzio dei Trasporti Pubblici di Napoli, originatosi dalle T.P.N. (fino alla revoca del 1986).

4La procedura di “soppressione tacita” di una ferrovia fu ben descritta dall’on. Vedovato, alla Camera dei Deputati, nella seduta del 21 ottobre 1957: “si comincia col lasciare andare sempre più giù il servizio, si fanno orari sempre peggiori, si diminuisce il numero dei treni e delle vetture, si usano veicoli scomodi e spesso poco decorosi per i viaggiatori, si evita il più semplice miglioramento e si continua così per anni sempre con lo stesso servizio, per forza d’inerzia, in modo da stancare poco a poco il pubblico e far diminuire il traffico, mentre crescono gradatamente le spese per la vetustà dei mezzi e dei sistemi; può bastare un modesto incidente per lasciare interrotta la ferrovia per mesi e talvolta per anni !” 

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